di Antonio Del Vecchio-Partner di Studio Stratego

E’ il 1985. Philip Kotler – eminenza grigia del moderno concetto di marketing – in collaborazione con Karen Fox redige Strategic Marketing for Educational Institutions. E’ la scoperta di un nuovo orizzonte di studio: anche l’universo delle scuole entra nel dominio del management dei servizi. Gli studi di Kotler sono immersi nella vivacità del sistema scolastico americano, dove il grado di competizione, il “challenge” tra istituti di ogni ordine e grado, spinge i dirigenti scolastici ad implementare la propria offerta formativa per aumentare il numero di iscritti e rispondere ai bisogni del territorio di riferimento.

In Italia, questa visione marketing oriented arriverà con almeno 15 anni di ritardo, sull’onda della rinnovata autonomia del settore scolastico, percepita quasi come una sorta di mutazione genetica che ancora oggi produce i suoi effetti. Effetti ingigantiti dai recenti tagli alla spesa pubblica, che hanno penalizzato l’istruzione (3,5 miliardi in meno alle scuole nell’ultimo quadriennio), riducendo ulteriormente il margine di manovra degli istituti scolastici. L’autonomia, parola magica che avrebbe dovuto rappresentare il nuovo corso dell’istruzione, ha in realtà colto impreparati molti dirigenti scolastici, incapaci di reagire prontamente alla metamorfosi del proprio ruolo: da “preside” ad “imprenditore”, ossia dirigente di una scuola-impresache, pur perseguendo la sua finalità educativa, deve ampliare la sua offerta in risposta alle istanze del territorio per evitare di scomparire. In questo mutato scenario, è emerso un vuoto di competenze: comunicative, gestionali, economiche, organizzative, cui non tutti hanno saputo porre rimedio.

Ma quali sono, oggi, le ricette che una scuola può adottare per rinfrescare il suo appeal ed evitare la progressiva diaspora di iscritti?

Anche per la scuola, intesa come impresa di servizi, vale l’assunto che la qualità è tale solo se percepita. Comunicare, farlo bene, per emergere come opinion leader del sistema scolastico territoriale: è questa la sfida da raccogliere. Senza una strategia comunicativa efficace, che sappia mettere in luce i pregi della propria offerta formativa, il word of mouth, ilpassaparola – da sempre la strategia comunicativa più redditizia – non si attiva.

Comunicare significa investire nella propria immagine coordinata e nel perfezionamento delle risorse interne, puntando alla valorizzazione del proprio biglietto da visita: sito web, brochure, pubblicità, attività di front e back office. Comunicare significa vitalizzare continuamente la propria offerta, leggendo in anticipo le esigenze del territorio (quante sono le scuole che oggi, soprattutto al Sud, riescono a sopperire con le proprie attività al bisogno di sport, socialità, cultura che proviene dal proprio tessuto giovanile?). Comunicare significa essere al passo coi tempi, usando gli strumenti e le cornici che – oggi – costituiscono il modus comunicandi dei giovani. Difficile con la poche risorse disponibili. Impossibile senza una strategia efficace. Fattibile se a diventare i protagonisti di questa strategia sono gli stessi a cui è indirizzata: i giovani studenti. Una comunicazione dei giovani per i giovani. Può essere questa la strada da seguire. Non mancano, infatti, gli esempi di scuole che hanno investito sul capitale umano, affidandosi a professionisti del settore e costituendo all’interno delle mura il centro nevralgico della propria attività di comunicazione. Uffici stampa, web radio, web tv, giornali scolastici, rassegne, eventi; ma anche corsi di grafica, fotografia e web development. Tutte queste attività, organizzate senza l’ausilio di grandi risorse economiche (lo sfruttamento di molte piattaforme web e programmi open share è a costo zero), ma con l’entusiasmo degli studenti, rappresentano la forma più lungimirante di comunicazione che una scuola possa concepire. E’ un’idea semplice, ma creativa. E davanti alle idee, non ci sono tagli che tengano.